lunedì 13 maggio 2024

Aikido, il legame con il passato e la virtù di cambiare prospettiva

Oggi, 13 maggio, ricorre il 22-esimo anniversario della morte di Morihiro Saito Sensei, figura che per tutti i praticanti di Iwama Ryu è stata una imprescindibile fonte di apprendimento e di ispirazione.

Io non ho mai avuto un rapporto personale diretto con lui, anche se ho partecipato a tutti i suoi Seminar in Italia dal novembre 1992 (Torino) al maggio 2001 (Ostia)... però ricordo ancora quel messaggio di Sonoko Tanaka San - la sua traduttrice ufficiale - con la quale nel frattempo ero diventato buon amico, che mi annunciava la scomparsa di questo grande Maestro.

La ringrazio ancora per avermi pensato in quel momento delicato!

Il mio modo di praticare è stato completamente dedicato ad apprendere la sua linea didattica per oltre 15 anni, quindi per ben oltre ai 9 nei quale sono stato così fortunato di calcare lo stesso suo tatami; sono stati fondamentali per me anche gli insegnamenti ricevuti dai suoi Deshi diretti: Hitoira Saito, Paolo Corallini, Ulf Evenas, Ethan Weisgard, Daniel Toutain, Miles Kessler, Patrick Cassidy, Bjorn Saw, Gaku Homma, Hiroshi Isoyama, Hiroki Nemoto, Shigemi Inagaki, Yoshifumi Watahiki (1937-2019)... per citare i primi ed importanti che mi sovvengono.

É come provare a comprendere un vasaio esaminando i vasi che ha creato: c'era un po' di Saito Sensei in ciascuno di loro, ma incontrare e frequentare così tanti discepoli dello stesso Maestro, mi ha permesso di capire COSA fosse un principio ricevuto, da cosa fosse l'interpretazione personale di chi lo aveva ricevuto...

Non che le interpretazioni siano un peccato mortale, intendiamoci... Sono inevitabili, purtroppo e fortunatamente: così non ci è consentito essere cloni di nessuno, ma essere sono noi stessi!

Ciò che a volte però manca a parecchi Aikidoka, pure di apprezzabile rango, è proprio la capacità di mettersi nell'ottica di qualcun altro, magari qualcun altro che non conoscono affatto.

A me l'Iwama Ryu è sempre piaciuto un sacco, forse per attitudine personale, forse per potenzialità didattica... però devo ammettere che fino al 2001 NON avevo la più pallida idea del mondo Aikidoistico che viveva al di fuori della comfort zone, che allora amavo chiamare "casa".

C'era l'Aikikai d'Italia, con i Maestro Tada e Fujimoto, attivissimi all'epoca... c'erano i Maestri Kobayashi, Tohei e Tamura che venivano spesso in Italia (o al limite in Francia)... tutti allievi diretti dello stesso "vasaio" che aveva formato anche Morihiro Saito Sensei, ovvero il Fondatore, Morihei Ueshiba.

Nella nostra Scuola al tempo c'era il giudizio molto facile per coloro che provenivano da percorsi differenti all'Iwama: "quello non è tradizionale", "quello non è marziale", "quella è solo danza"... Insomma, sembrava che avessimo capito tutto solo noi, e che con gli altri bisognasse avere pazienza, perché, "poveretti", stavano facendo quello che potevano... essendo distanti dalla via maestra e dalla "verità" sull'Aikido.

Per mia fortuna, uno scossone nella vita mi ha portato fuori da questo incubo inutile e forse pure dannoso, che ancora oggi molti si dilettano a sognare: ed eccomi la, ad uno stage di Fujimoto Sensei, senza capire un H dei suoi 1000 tenkan ed irimi tenkan, che allora mi parevano un magheggio davvero virtuoso quanto inutile... o ad un seminar di Tissier Sensei, con questa "r" moscia facile e l'accento sull'ultima lettera di ogni tecnica: "koshinagé, iriminagé, tenchinagé"... ed io mi dicevo. ma questi perché usano termini giapponesi senza nemmeno curarsi della loro pronuncia corretta?

Per me era tutto un grande non-senso: dal kinonagare continuo senza alcuna presa solida... ai test di Ki fatti con Gianni Gioconto Shihan del Ki Aikido.

Il mio passato mi aveva dato grande supporto... perciò facevo una certa fatica ad affrancarmene, anche solo temporaneamente.

Sono però stato molto fortunato e diverse persone hanno avuto con me, Iwamista puro e convinto, la stessa pazienza che mi si diceva avrei dovuto avere con gli Aikidoka diversamente abili che praticavano al di fuori del mio lineage di provenienza. E non hanno avuto solo pazienza: mi hanno anche trasmesso insegnamenti e principi di inestimabile valore, che non avevo mai incontrato prima.

Ne elenco alcuni:

- l'importanza dell'integrità di uke, che da dove provenivo alcune volte veniva trattato come quando si butta via l'umido;

- l'importanza del ritmo e del flusso, cosa che non ero ancora riuscito a praticare molto, visto che allora ero un semplice 2º dan, che iniziava appena a mettere il naso fuori da un allenamento esclusivamente statico; per la carità, il kihon lo conoscevo bene, pero!

- la didattica di ukemi, ovvero come cercare un rapporto armonico con il mio partner prima e con il tatami dopo... per evitare auto-proiezioni che ero abituato a fare per non subire lussazioni di polsi, gomiti o spalle.

... insomma, pure fuori dal mio orticello c'erano tanti contadini che coltivavano altra verdura... ed il loro raccolto non era necessariamente solo di erbacce ed infestanti!

Cercai sicuramente per prima qualcosa che mi ricordasse "casa", ma anche qualcosa di nuovo da esplorare, visto l'immensità di lacune che mi rendevo conto di avere.

E la stranezza era che ciò che per me era chiarissimo, risultava sconosciuto o quasi agli ambienti extra-Iwama che iniziavo a frequentare (l'Honbu Dojo, per esempio... i Seminar degli Shihan Aikikai in giro per l'Europa...), mentre ciò che per questi era l'ordine del giorno, per me risultava qualcosa di nuovo almeno quanto ostico.

Quindi ero giunto in una sorta di ambiente non solo differente dal mio di provenienza... ma pure ad esso COMPLEMENTARE!

C'era un botto di roba che avrei potuto prendere da quelle nuove frequentazioni (ed ho cercato di fare del mio meglio per farlo!) ed alcune cose che avrei anche potuto dare, se solo qualcuno mi avesse chiesto che cosa ne pensassi di alcune pratiche... ma a nessuno al tempo fregava di un povero Iwamista lontano da casa, accolto come il brutto anatroccolo, mentre cercavano -a loro volta - di catechizzarmi all'Aikido con l'accento sull'ultima lettera delle tecniche.

Il buki waza, per esempio: vedevo fare cose che avrebbero fatto accapponare la pelle a chi avesse un minimo di cultura della pratica con le armi... cose che Saito Sensei diceva essere ESPRESSAMENTE devianti o errate nell'ottica dell'Aikido del Fondatore.

E questi tutti li a inventare l'acqua calda, pure scaldata male... mentre il più brocco dei brocchi di Iwama avrebbe mangiato l'insalata in testa a tutti, invece di mischiare Katori Shinto Ryu, Kashima Shin Ryu, Jodo e Iaido... come se fossimo all'All-You-Can-Eat cinese. Questo almeno era il mio sentire di allora...

Non uno tsuki che avesse un senso, però tutto fatto in modo molto elegante e scenico!

La cosa mi interessava poco: avevo già avuto chi mi aveva spiegato come fare uno tsuki con il jo, non avevo bisogni di imparare una semi-scemenza al suo posto, né era possibile dimenticare il buono che già portavo con me.

Ma ciò che mi faceva impazzire comunque era questa evidente COMPLEMENTARIETÀ: roba da costringere tutti gli Iwamisti a farsi un tirocinio intensivo da Tissier... e costringere quest'ultimo ad andare mezzo secondo ad Iwama ad imparare un kata di jo decente! Giusto per prendere due stili famosi, che ciascuno ben identifica.

Beh, avevo appena appreso, empiricamente, che tutto l'Aiki-mondo è Paese... e che chiunque pensa di essere sulla buona strada, deduce (erroneamente) che deve essere su una strada peggiore chi non vede sulla propria.

Credo sia un atteggiamento molto umano: arrivavo da un luogo altamente giudicante, ad esempio, ma ero finito in altri luoghi altamente giudicanti a loro volta... quindi non era cambiata la malattia, ma solo i malati.

Ma se si rinuncia a questa mediocrità (ancora parecchio dilagante, devo dire!) e si inizia a lavorare sui PRINCIPI della disciplina, si incomincia a comprendere PERCHÉ Scuole diverse fanno le cose in modo diverso, talvolta addirittura completamente opposto fra loro: non c'è nessuno che stia sbagliando, solo si è influenzati da una propria PROSPETTIVA caratteristica.

Alla luce di ciò, tutto torna, invece... e le biodiversità creano una completezza ed un senso dei quali ciascuno di noi sente assoluto bisogno. Ma per comprendere questo è necessario prima conoscere benino, se non padroneggiare, anche ciò che appare più lontano dal nostro sentire.

E sono semplicemente in pochi ad essere disposti a fare questo viaggio: si vede così che il giudizio, o il pregiudizio, sono elementi molto COMODI per stare nella propria area di comfort e non crescere ulteriormente.

Da qualche tempo ho l'onore di ricevere visite di allievi appartenenti a molte Scuole e stili di Aikido differenti, ed ogni volta è sempre altamente costruttivo fare vedere loro che NON è necessario lasciare fuori dalla porta il frutto delle loro esperienze precedenti, ma è possibile integrarlo e completarlo con il pazzo (i pezzi) che a loro sono meno familiari.

C'è gente che si scusa di non riuscire a fare il movimento che faccio io, quando nemmeno io sarei capace di fare altrettanto bene il loro... ovviamente!

Chi studia 10 anni di informatica e poi si trova ad imparare la chimica... ci mette più di un attimo a rendersi conto che si tratta di sistemi DUALI, e quindi con un botto di similitudini e complementarietà.

L'Aikido avrebbe molto bisogno di informatici che vogliono studiare chimica e chimici che desiderano apprendere l'informatica, per stare nella metafora.

Il legame col passato - Saito Sensei e la Scuola di Iwama, nel mio caso - NON si può, né si deve recidere... resta li a fare da terreno di supporto a tuto ciò che ci potrà venire costruito sopra di ulteriore: quindi chiunque avrà qualcosa di caro da tralasciare momentaneamente per diventare più esperto, ma al quale tornerà quando lo desidera.

Solo un sprovveduto può ritenere che un'esperienza precedente gli sia stata inutile o - addirittura - di freno: significa che non ne ha compreso il valore, non ne ha tratto più di tanto frutto... ed in questo caso NON sarà in grado di trarre più di tanto frutto nemmeno dalle esperienze successive a quella.

Un'immensa gratitudine va ad un grande Uomo, come Saito Sensei, che per tuta la vita ha provato a fare da custode ad una tradizione marziale e tecnica, e che non si è forse accorto che il suo "vasaio" insegnava anche altro... che per fortuna nostra è stato colto da altri suoi allievi diretti... che però di contro non hanno altrettanto valorizzato ciò che è stato diligentemente studiato codificato da Saito Sensei. Perché ciascuno è unico, e va ringraziato per il valore aggiunto che è in grado apportare e non denigrato per i propri limiti.

Il bello in Aikido è che serve TUTTO, e che oggi in giro questo "tutto" è stato frammentato in decine di contenitori differenti: agli Aikidoka accorti il delicato e meraviglioso compito di ricomporre i pezzi del puzzle!


Marco Rubatto




lunedì 6 maggio 2024

13 no jo kata... una forma importante ed spesso incompresa

Nell'esplorare le immense potenzialità del bagaglio tecnico di buki waza, poche volte come di fronte a 13 no jo kata mi sono trovato davanti all'incomprensione.

Ripetere una sequenza di 13 movimenti non è poi così complicato, dopo qualche anno di pratica... ma capirli ad un certo livello di profondità... beh, questa sembra essere tutta un'altra faccenda!

Pochi sapranno che 13 no jo kata è un lavoro che il Fondatore ci ha lasciato INCOMPIUTO, ovvero, stava ancora lavorandoci su quando ci lasciò.

13 sono infatti i movimenti che erano già divenuti stabili al momento della sua morte, e sono proprio questi i movimenti che Morihiro Saito Shihan si è curato di farci giungere; ma forse il kata sarebbe continuato ancora, e non sappiamo quanto a lungo.

movimento 11 del kata
Un'altra certezza è che 13 no jo kata contiene movimenti più fluidi e complessi rispetto a 31 no jo kata (anche se la sequenza è più corta): quindi per studiarli con una certa precisione, è indispensabile avere PRIMA compiuto un buon lavoro di sgrossatura ed approfondimento dei 20 suburi di base.

Ma vediamo tutto un po' più nel dettaglio...

Innanzi tutto, di seguito potrete trovare il kata in questione, ripreso da differenti angolazioni e con alcuni approfondimenti su spostamenti e respirazione.



Stesso kata, eseguito da fonte molto più autorevole della mia, giacché da piccolo giocava sulle ginocchia del Fondatore...


Esaminiamo i movimenti 1 e 2: si passa molto rapidamente da choku tsuki (jo no kamae) a yokomenuchi (ken kamae)... Questo passaggio ha storicamente incasinato al vita a centinaia di Aikidoka (soprattuto francesi), che hanno studiato tanti anni fa guardando le figure stampate in un libro (quando YouTube non esisteva ancora).

Ciò è avvenuto poiché il passaggio 1-2 è una contrazione di ciò che avviene in tsuki jodan gaeshi uchi (5º suburi di jo), che di solito viene rappresentato con una sorta di passaggio intermedio, che permette ai praticanti di capire come far ruotare le mani sul jo (appunto per passare da un affondo ad un fendente)... però per rendere ciò in un libro, Saito Sensei ha spezzettato questo passaggio anche nelle foto che mostravano 13 no jo kata, generando l'incomprensione da parte dei lettori che quella pausa nella sequenza ci fosse (e che i movimenti fossero 14 anziché 13!)

Ci sono un botto di Scuole in Italia che insegnano 14 no jo kata, è drammaticamente ancora così. Per i più forti di stomaco, guardate un po qui!?


Nel passaggio 3, si esegue una parata jodan (alta), spostandosi leggermente a sinistra dei sei chu sen (la linea dell'attacco): in questa posizione il jo NON va tenuto sopra la testa - come fanno molti - parallelo alla linea dell'attacco, bensì INCIDENTE... ovvero l'unico modo che esiste per intercettare (da sotto) uno tsuki portato al viso.

Una delle fonti di incomprensione più evidenti è l'incapacità di eseguire il kata in compagnia di un partner fisico, che ci permetta di capire perché la forma è stata codificata in questo modo, e non in un'altro.

Ecco di seguito l'applicazione di questi primi 3 movimenti...



Il passaggio 4 è uno tsuki, portato in migi hanmi (ricordo che la guardia più utilizzata per questo colpo è solitamente la sinistra)... mentre il passaggio 5 è nuovamente un grande incompreso: si tratta di un hasso gaeshi mentre il corpo ruota di 180º, tramite irimi tenkan.

Dico che si tratta di un'altra incomprensione molto comune perché bisogna studiare a cosa SERVONO gli hasso gaeshi, che sono delle PARATE/SPAZZATE, utili a deflettere sia colpi di punta, che fendenti.

Nei suburi di base ci sono ben 5 esercizi (hasso gaeshi go hon) che insegnano esattamente questo concetto, ovvero fare una parata "hasso" e quindi terminare con un altro attacco (fendente avanti, colpo di punta avanti, fendente indietro, colpo di punta indietro, spazzata all'indietro)... ma se non si studiano a dovere, poi applicando il movimento nel kata viene fuori una ciofeca.

Ad aggiungere altra carne al fuoco, questa parata va fatta cambiando la direzione di 180º, ovvero immaginando che l'attacco ci provenga dal nostro lato destro, se non addirittura dalle spalle. La maggioranza dei praticanti (e pure non pochi Insegnati) fanno ottimi majorettismi... ma non intercetterebbero alcun attacco con il loro hasso gaeshi, perché ne hanno studiato forse poco i principi di funzionamento. Di solito anticipano il momento nel quale il jo ruota, rispetto a quando lo fanno le loro gambe.

Il movimento 6 è poi un fendente yokomenuchi, molto comodo da effettuare a partire da hasso no kamae (ruotando la mano destra con il pollice verso l'alto).

Ecco la sequenza 4-6 applicata con un compagno di pratica...



A questo punto, possiamo mettere insieme il lavoro svolto fino ad ora, proponendo la sequenza da 1 a 6, sempre con un compagno di pratica.


Il movimento 7 è una parata alle spalle, che si esegue facendo tenkan sul piede destro... seguita da uno tsuki sempre in migi hanmi (movimento 8) e da un movimento di preparazione, nel quale si infodera il jo sul fianco sinistro (movimento 9)

Ecco la sequenza applicata con un compagno...


Il movimento 10 è nuovamente molto particolare: si tratta di una parata/spazzata, ma viene eseguita entrando verso l'attacco dell'avversario... cosa che di solito non si fa, poiché si tende a prendere distanza da esso mentre si para; questo è un'altro punto nel quale si nota come 13 no jo kata NON sia una più di tanto una pratica di base.

Il movimento 11 è uno tsuki jodan, eseguito in hanmi sinistro. Sovente la prossemica si riduce parecchio, quindi è necessario stare attenti a non ferire il proprio compagno di pratica.



Nel video seguente invece troverete l'applicazione dei movimenti da 7 a 11.


Il movimento 12 è la dimostrazione evidente che O' Sensei ci ha lasciato un'opera INCOMPIUTA, poiché contiene una PARATA, che spesso risulta invisibile nell'esecuzione del solo kata... ed è necessario eseguire il movimento 13 (tsuki chudan, hidari hanmi) senza soluzione di continuità rispetto al precedente... se non vogliamo che il nostro compagno pari il nostro affondo finale.



Ed ecco qui di seguito filmata la 2º arte del kata, sempre in applicazione con un compagno di pratica...


Ora non ci resta che mettere insieme la 1º parte (1-6) e la 2º parte (7-13) per ottenere l'applicazione dell'intero 13 no jo kata.



Come abbiamo notato, esiste la possibilità di praticare sia con 1 partner (come mostrato fino ad ora nei video precedenti), ma anche con 2, con 3 e con 4 partner contemporanei. Di seguito ecco alcuni video esplicativi di queste ulteriori modalità di allenamento


13 no jo awase: 3 partner, 3 direzioni di attacco


13 no jo awase: 4 partner, 4 direzioni di attacco


Come spero si possa apprezzare dai video, lo studio di un kata risulta qualcosa di molto più complesso e completo dalla memorizzazione di 13 semplici sequenze di movimenti: la capacità di applicarli ad uno o più attaccanti simultanei fa molto la differenza nel comprendere la forma codificata stessa.

Ora non appesantisco ulteriormente la trattazione, ma si sappia che esiste anche una forma di kumijo legata a 13 no jo kata, che differisce in parecchi punti (ed è più complicata) dalle semplici armonizzazioni mostrate poso sopra. Magari sarà oggetto in futuro di un ulteriore approfondimento.

E, come ho già più volte rimandato, NON accontentatevi di qualche video per studiare, ma rivolgetevi ad un Insegnante esperto e titolato se volete sul serio imparare qualcosa... YouTube Sensei può dare un'idea del lavoro, ma non può assolutamente sostituire ciò che dovete fare al Dojo, sotto gli occhi esperti di chi vi guida passo passo nel vostro apprendimento.


Marco Rubatto




lunedì 29 aprile 2024

[一教] 93 sfumature di IKKYO

Quest'oggi ci occupiamo di esplorare insieme un vero e proprio MUST dell'Aikido, ovvero [一教] IKKYO... il famoso "1º principio".

Oltre ad essere una delle prime forme che viene proposta ai corsi, è anche particolarmente significativa perché sopra questa pratica è possibile costruire i principi che seguono (argomento che però tratteremo più avanti ed altrove).

Originariamente il nome di questo principio era [腕抑え] "ude osae", ovvero "controllo/blocco dell'avambraccio"... che pare per ragioni anche di tipo storico (eliminare le barriere linguistiche a favore degli occidentali) fu chiamato appunto "ikkyo".

É interessante anche notare che [教] "kyo" significa "insegnamento, fede, dottrina"... e di solito viene appunto tradotto con "principio": affermo questo perché c'è una differenza molto grande fra una tecnica ed un principio.

Se fossimo in campo fisico, ad esempio, una teoria o una legge matematica che descrive un fenomeno andrebbero dimostrate... invece un principio NO: si prende atto che le cose funzionano in quel modo li e stop. Non vi è alcuna dimostrazione dei Principi della Termodinamica, poiché sono degli assunti fondamentali... è possibile descriverli matematicamente, ma non "dimostrarli".

Potrebbe non essere differente per il nostro "ikkyo", che pare proprio essere uno dei mattoncini di base (il 1º di essi, fra l'altro) che compongono la parte visibile della nostra disciplina.

Iniziamo a mostrare che esistono 2 tipologie distinte di ikkyo, comunemente chiamate "omote" ed "ura" (alcuni stili di Aikido preferiscono chiamare "positivo" e "negativo"), che risultano un po' l'uno l'immagine speculare dell'altro... cosa che merge piuttosto chiaramente dai 2 brevi video che seguono.


IKKYO OMOTE

omote
Ci si focalizza nel creare uno squilibrio sul punto posteriore dell'hanmi di uke, quindi questo tende a ruotare su se stesso per non perdere l'equilibrio... e la tecnica viene chiusa sul punto di sbilanciamento anteriore dell'hanmi (perché nel frattempo questi è ruotato di 180º). 

Per sua caratteristica, questa forma è più adatta al movimento di entrata (irimi) ed ad un timing che interrompe l'attacco del partner ancora prima che questi lo abbia terminato (se non sen). Si riempie un vuoto prima che esso diventi pieno.


IKKYO URA

ura
Al contrario del precedente, ikkyo ura si focalizza sul lasciar entrare l'attacco di uke, sbilanciandolo sul punto di squilibrio anteriore del suo hanmi: è un po' come spalancare una porta mentre qualcuno stava cercando di sfondarla... si crea quindi un vuoto, che genera uno squilibrio; si cerca in seguito di mantenere questo sbilanciamento fino a terra.

Per questo principio è più semplice che venga applicato in movimenti evasivi (hirai o tenkan), perché sono i migliori a consentire all'energie del partner di proseguire oltre a dove questi intendeva inviarla. Il timing diventa quindi go no sen.

omote
Esiste però un'altra caratteristica che rende polari e complementari queste 2 modalità distinte di ikkyo: nell'OMOTE si esegue 1 spirale, che tende a concentrare l'energia dalla periferia al suo centro... mentre nell'URA si esegue sempre 1 sola spirale, ma questa volta che tende a disperdere l'energia dal centro alla periferia.

Esistono infatti solo 2 tipologie distinte di vortice: una costituisce il principio con il quale lavorano i mulinelli marini, che dalla periferia tengono a far inabissare i nuotatori o le imbarcazioni: questo è il principio (concentrazione) sul quale funziona IKKYO OMOTE;

ura
quando invece un vortice risucchia gli oggetti dal centro e li spinge verso la sua periferia, siamo dinnanzi ala dinamica di un tornato (twister), in questo caso abbiamo la descrizione del funzionamento di IKKYO URA (dispersione).

Come potete notare, entrambe le forme fanno utilizzo di UNA SOLA SPIRALE, ma che viene percorsa in senso opposto da ciascuna di esse.

Geometricamente interessante, direi!

Ho titolato il Post "93 sfumature di IKKYO" perché allo stato attuale del nostro Canale YouTube (al quale vi consiglio caldamente di iscrivervi, se non lo aveste già fatto!) abbiamo a disposizione ben 93 tipologie di IKKYO diverse, suddivise in OMOTE ed URA, in tachi waza (tecniche in piedi) e suwari waza (tecniche da seduti)... a seconda del variare dell'attacco del nostro partner.

Mancano ancora alcuni hanmihandachi waza (uke in piedi, tori seduto) che credo che porterebbero questo numero intorno ai 100-110 tipologie al massimo; gireremo questi ulteriori video non appena possibile.

Ecco le playlist che mostrano tutte le forme di cui vi parlo...


TACHI waza ikkyo OMOTE (42 forme)


TACHI waza ikkyo URA (43 forme)


SUWARI waza ikkyo OMOTE (4 forme)


SUWARI waza ikkyo URA (4 forme)


E già qui c'è di che sbizzarrirsi, se volete, perché abbiamo provato ad essere più completi possibile nel database tecnico, quindi troverete anche video nei quali si mostrano possibili forme differenti dal medesimo attacco (quindi le forme sono pari a ciò che è mostrato in tutti i video, non sono il numero dei video stessi).

Un ultimo cent va speso per l'enorme differenza tecnica che pare esserci nei vari stili di Aikido nel performare ikkyo ed i suoi derivati: c'è gente che lo fa tramite un passo avanti (la maggioranza), chi tramite uno tsugi ashi (l'Iwama Ryu, ad esempio)... beh, per un neofita può non essere semplice districarsi fra questa poderosa varietà tecnica e stilistica.

Una cosa che raccomando sempre ai miei allievi è questa: quando vedete un Insegnante fare una cosa, pensate sempre cosa vuole dirvi con ciò che fa.

Ci sono didattiche che puntano di più alla marzialità, e ad esempio sottolineano l'importanza che uke non possa afferrare la gamba che entra con la sua mano libera (questi entreranno con tsugi ashi in contro-anca)... chi vuole sottolineare di più la fluidità del movimento e l'inversione delle direzioni (questi tenderanno ad entrare facendo un passo, ad esempio in Aikikai si fa così).

In generale non c'è nessuno che sta commettendo grossi errori e nessuno che riesce a fare giusto in modo assoluto, poiché le prospettive sono molteplici ed è veramente complicato tenerle TUTTE equi-presenti in ciò che si fa, specie se si insegna... e si ha la necessità di non "ingolfare" gli allievi con un over-load di informazioni, che li manderebbero in tilt, anziché aiutali

Quindi rivolgetevi da un Insegnante esperto e titolato e chiedetegli sul tatami il perché di tutti questi differenti approcci: sicuramente ve li saprà motivare, senza sparare a zero su questo o quella Scuola.

Ricordate inoltre che i video possono aiutare molto nell'apprendimento... ma esso avviene principalmente sul tatami, e nulla può essere altrettanto efficace come il vostro stesso corpo per imparare l'Aikido!


Marco Rubatto




lunedì 22 aprile 2024

Aikido e la disciplina che non serve affatto

Spesso sentiamo dire che ai più giovani servirebbe più disciplina ed imparare il rispetto...

Molti sono i genitori che, sul panorama delle attività sportive disponibili, scelgono per i loro figli le Arti Marziali anche per insegnare loro questi valori... perché comunque sanno che in corsi come questi NON è tollerato tutto, e si insegna ai ragazzi anche a rigare diritto, in qualche modo.

L'Aikido non fa eccezione a tutto ciò: il reishiki (l'etichetta) è fondamentale e quindi lo è altrettanto che tutti i praticanti, giovani e meno giovani, lo imparino e lo mettano in pratica quanto prima....

- si arriva puntuali al Dojo per le lezioni

- si fa un inchino prima di salire sul tatami

- si lasciano gli zoori al bordo del tappeto, con il tallone verso il tatami

- si ha cura del proprio abbigliamento e della propria igiene personale

- si fa il possibile per essere collaborativi con il proprio compagno, contribuendo a creare un'atmosfera di studio serena e proficua...

E quante simili LISTE di "elementi disciplinanti" abbiamo visto nel mondo delle Arti Marziali?!

Solo che tutto ciò può non bastare per niente... e può addirittura diventare controproducente, nell'ottica del sottoporsi ad una DISCIPLINA.

Essere coerciti sotto un cappello di regole NON è darsi una disciplina... ma piuttosto farsi ammaestrare (o "auto-ammaestrarsi"), come si farebbe con una foca, un cane o una scimmia.

Se viene a mancare la scelta personale libera di aderire o meno al sistema delle regole, esse per noi possono fare praticamente solo danni, e provo a motivare questa mia apparentemente strana uscita.

Qualsiasi essere umano nasce, cresce ed ha bisogno del contesto intorno a sé per farlo... poiché viene al mondo in una condizione di completa dipendenza, in un momento di vita caratterizzato da totale anarchia ed egoismo. In questa dinamica, gli altri non esistono: ci siamo solo noi e le nostre esigenze (pappa, cacca, nanna)... pur dipendendo completamente da coloro che nemmeno sospettiamo essere fondamentali per poter esercitare le nostre esigenze primarie ed anarchiche.

Poi, ad un certo punto, un bambino viene più direttamente a contatto con la società e con gli altri suoi simili, imparando ad interagire ed introiettando diversi sistemi di regole (familiari in primis, ma quindi anche ludiche, scolastiche...) e qui qualcosa cambia, ma non è detto che cambi in meglio.

Mentre è palese che tutto ciò sia indispensabile, il bambino inizia a dare retta agli adulti di riferimento che utilizzano il sistema delle regole per 2 differenti (ed opposti) motivi:

- perché sono interessati a far crescere il più possibile in modo sano il giovane ("vatti a lavare i denti dopo aver mangiato", "prima fai i compiti e poi vai a giocare")

- perché sono interessati a rendere quel giovane sempre più manipolabile ed ubbidiente, così da arginarla sua capacità intrinseca di rompere le scatole, o di essere pericoloso per alcuni aspetti della società che non siamo disposti possano venire messi in discussione.

Sempre di regole si tratta: ma nel primo caso sono di supporto all'evoluzione personale, nel secondo caso rischiano di tarparla invece.

Purtroppo il primo luogo dove le regole vengono utilizzate per creare dei piccoli automi è proprio la SCUOLA: si sta zitti, si sta seduti, si parla solo quando la maestra ti da il permesso, se uno si comporta in modo difforme al sistema delle regole, i genitori si sentono dire che "ha un comportamento non ADEGUATO", ma esattamente non adeguato a cosa?

A sbadigliare di noia quando la maestra non è capace di catturare il suo interesse ed attenzione con la lezione che sta tenendo?

Chi decide cosa è adeguato e cosa non lo è?

É sano poter sbadigliare di noia perché la lezione ci sembra inutile e lenta (perché magari abbiamo già capito dove vuole andare a parare o ci pare un nonsenso)?

A volte sembrerebbe di si, ovvero che non sia sempre l'alunno a doversi modificare... l'Insegnante spesso dice che il suo comportamento non risulta rispettoso dei compagni che hanno bisogno di più tempo per comprendere: ma è veramente così, oppure con questa scusa si maschera l'incapacità didattica di chi insegna?

Ed anche nel caso in cui si debba imparare a pazientare, perché non possiamo imparare ad esprimere il nostro disagio emotivo? Perché dobbiamo nasconderlo o fingere che non ci sia?

Ecco che si sta iniziando l'opera di ammaestramento umano, nel quale per ADEGUARSI a ciò che il contesto ci richiede, iniziamo a rinunciare alla nostra autenticità.

Questo non avviene sempre per scopi manipolativi, a volte è necessario UNIFORMARSI anche solo per essere accettati nei gruppi umani dei quali facciamo parte.

Al Dojo arrivano diversi adulti che sono dichiarano apertamente di essere diventati "schiavi" della vita alla quale essi stessi hanno finito per ammaestrarsi da soli, una volta che alle scuole elementari hanno spiegato loro come fare.

E non si diventa solo adulti infelici, ma anche inetti: non siamo più abituati a percepire cosa sia veramente fondamentale per noi, abbiamo spento la fiamma della curiosità verso ciò che non conosciamo ed abbiamo imparato a dire un sacco di "signor si" per poter sopravvivere con meno conflitti possible, secondo la strada di minor resistenza.

Ma un guerriero non accetta di sopravvivere: lui vuole VIVERE... ed è disposto a combattere le battaglie che gli sembrano importanti, anche perché è capace di distinguere quali lo sono e quali no.

Un guerriero, proprio grazie al sistema delle regole, viene sempre più in contatto con se stesso... non diventa un dottore ammaestrato a limitarsi ad applicare unicamente un protocollo sanitario, uno scienziato che studia solo ciò che le lobby pagano, un giornalista che scrive esclusivamente ciò che non dispiace troppo al suo Capo Redattore, un politico che smentisce oggi quello che ha garantito ieri.

Un guerriero NON può fare nulla di tutto ciò, perché se lo facesse potrebbe forse guadagnare plauso e successo in mezzo ai suoi simili, ma perderebbe se stesso... e si schiferebbe di restare al mondo come un mezzo parassita.

Il sistema delle regole di una disciplina è caratterizzato dall'assenza di imposizione e di possibile manipolazione: in poche parole "è una scelta personale".

Una scelta che si può iniziare a fare inconsapevolmente, perché si segue il branco, ma che ad un certo punto richiede una presa di posizione chiara e partecipata: "Tu cosa vuoi fare di te?"

Il Dojo, e quindi i corsi di Aikido, cosa vogliono diventare: gli ennesimi luoghi creatori di "Yes Man", o nei quali si impone l'autorità del Sensei... Un luogo nel quale vige l'anarchia (nel senso più limitativo del temine) o il luogo nei quale si lascia che i praticanti scelgano chi vogliono diventare?

In questo senso, sto molto attento a quale tipo di disciplina regni durante i corsi che tengo: alzare la voce con i bambini, i ragazzi ed ancora di più con gli adulti, trovo che sia sempre una forma di sconfitta... perché quello che si vuole capire, lo si capisce anche se parlo con un tono pacato... e quello che non si ha proprio intenzione di capire, non lo si capisce nemmeno se lo urlo.

Certo, talvolta posso essere percepito anche come "duro ed intransigente" dagli allievi, quando vedo che essi non accettano la sfida della crescita e delegano le loro responsabilità personali: ma si tratta solo di una "sveglia" che do loro, nulla di più. Di meno sarebbe troppo poco, di più sarebbe troppo.

Non posso percorrere il cammino al loro posto: posso solo indicare quello che ad oggi mi pare essere il percorso più sano e ragionevole. E se qualcuno di loro mi venisse a dire che sia annoia?

Per quanto mi spiacerebbe, glielo lascerei dire e mi annoterei se è il solo che me lo rimanda o se è in compagnia: poiché in quest'ultimo caso, magari la responsabilità potrebbe essere più mia che loro!

Ho frequentato in gioventù corsi di Arti Marziali (specie Karate) che sembravano filiali del Cobra Kai:  rimproveri verbali e punizioni fisiche continue... si andava a lezione con la paura di non sbagliare nulla per non fare arrabbiare il Sensei.

Un'ottima scuola di ammaestramento per futuri "servi"... che al tempo imparavano a chinare la testa davanti a quell'autorità, quindi avrebbero passato il resto della vita a chinarla dinnanzi al capo branco, al "maschio alfa" di turno nei vari contesti della quotidianità.

Persone quindi che non riescono ad esprimersi, che sentono di non avere il permesso di farlo, né ribattere criticamente al lavoro, in famiglia, con gli amici, con i figli...

Ricordo che la fine della mia religiosità è coincisa con quando iniziai a rispondere in modo "poco adeguato" dai salesiani dai quali andavo alle medie prima ed alle scuole superiori poi. Era tutta brava gente, e sono certo che desiderassero il bene dei ragazzi, ma cavolo se erano manipolatori!

Almeno, io avvertivo che lo fossero nei miei confronti: avevano compiuto scelte radicali, e quindi avevano l'aspettativa un po' magica che gli alunni facessero perlomeno altrettanto... e tutto è andato bene fino a quando non lo ho fatto presente loro; li mi sono accorto di essere considerato un "divergente", che certe domande e certe obiezioni non potevano essere tollerabili, e che quindi divenivo un pericolo potenziale per la loro community, proprio perché di conformarmi ai desiderata altrui non ci pensavo nemmeno, se questo non coincideva pure con la prospettiva mia.

La disciplina quindi per me può essere severa e pure austera, ma o è scelta o è un fake inutile... specie se è imposta. E se questo vale per un bambino o un ragazzo, figuriamoci per un adulto... Diciamoci pure che se con una disciplina non si impara a divenire più liberi di quanto non lo fossimo senza, allora la disciplina ha miseramente fallito, perché è diventata una gabbia... una rete nella quale si rimane impigliati.

Il problema successivo che si rileva però è che per insegnare al prossimo ad essere liberi, servono persone già a loro volta in possesso (almeno parziale) di questo stesso status: i salesiani della mia giovinezza erano ottimi docenti, ma in media tutt'altro che persone libere. Erano indottrinati, e cercavano quindi di indottrinare a loro volta il prossimo, anche senza accorgersene, pur con un assoluto intento costruttivo (almeno dal loro punto di vista).

Dal mio punto di vista, invece, il solo fatto di aderire a qualsiasi forma di credo non permette a nessuno di essere libero ad un livello significativo, a meno che non si sia consci dei limiti che ciò ingenera e ci richiede: intendiamoci, rispetto molto chi DECIDE di aderirvi... ma, da qualche decennio tendo a dare il giro a chi desidererebbe impormi il suo sistema di credenze, senza nemmeno chiedermi il consenso di farlo.

Nell'Islam - ad esempio - mangiare carne di maiale è considerato “haram”, ossia proibito in quanto costituisce un peccato: se sei mussulmano quindi non sei LIBERO di magiarla; ne devi essere però conscio PRIMA di diventare mussulmano... e soprattuto non sfrangiare i cabassisi al prossimo che invece non è mussulmano e la mangia.

Se nasci in una famiglia mussulmana, fin da piccolo non mangerai la carne di maiale: per te sarà normale questa cosa e non la percepirai più come una disciplina alla quale sottoporsi... ed ecco che nasce l'ammaestramento inconsapevole di se stessi, stando dentro "una gabbia", nella quale non hai scelto di entrare che nemmeno percepisci come tale!

Forse "disciplina" come parola inerente un sistema di regole va implementata con qualcosa che ne faccia intendere la prospettiva che la anima: "questa regola serve a raggiungere quel risultato"... allora è ok.

È un contratto chiaro ed aperto che si stipula, con se stessi e con gli altri: se voglio dimagrire, devo ridurre l'apporto calorico nel mio cibo e/o fare più attività fisica. La "disciplina" della dieta in questo modo è allineata al fine che intendo raggiungere, non c'è alcuna manipolazione, né violenza nel mettere l'alto voltaggio al barattolo della nutella... per impedirci un trasgressivo raid notturno.

Un corso di Aikido non è dissimile: ad esempio frequentare le lezioni con una certa regolarità aiuta a raggiungere tutta una serie di risultati, che sono impensabili per chi viene una volta al mese.

Questo vale per tutti, ma quanti fra quei "tutti" hanno intenzione di raggiungere determinati risultati?

Chi sono io per decidere che ciascuno sia obbligato a farlo nella stessa misura degli altri?

Certo: posso far presente a TUTTI che frequentare con regolarità ha degli indubbi benefici, ma poi non posso imporre che ciò avvenga: o le persone si auto-sottopongono a quella disciplina, oppure non servirebbe a nulla frequentare le lezioni per far piacere a me, o assecondare le mie aspettative.

In questo modo starei creando dei nuovi allievi "ammaestrati" a saltare nel cerchio di fuoco quando glielo ordina il domatore... ma siamo su un tatami, non al circo!

La disciplina che siamo in grado di SCEGLIERE ci aiuta e supporta crescere, qualsiasi altra forma ci INGABBIA e, di fatto, ci allontana dal divenire persone più consapevoli del proprio valore e dei propri limiti.

I corsi di Arti Marziali tenuti dal Sergente Maggiore Hartman non credo siano più molto utili: ciò che sorprende è che in molti luoghi invece si usi ancora così, e poi ci meravigliamo che non c'è gente a sufficienza sui tatami. È ciò che serve alla società?

Le Scuole tradizionali giapponesi sono spesso molto richiedenti, e fanno bene, ma sono riservate ad un numero decrescente di persone: proprio perché non tutti solo DISPOSTI a sottoporsi ad un tale livello di ferrea disciplina.

Pensate a come devono essere ad esempio contenti alcuni discendenti di grandi Maestri per i quali si applica ancora la (folle ?) tradizione di eredità consanguinea del proprio status.

Kisshomaru Ueshiba ha SCELTO di fare Aikido ed è quindi divenuto il secondo Doshu, o si è trovato a DOVERLO fare perché il suo papy glielo chiese?

Moriteru Ueshiba, dopo di lui?

Mitsuteru Ueshiba, che si prepara ad essere il 4º Doshu?

Ed Hiroteru Ueshiba - che adesso avrà circa una decina di anni - spasima di desiderio di divenire il 5º Doshu, o magari vorrebbe fare il panettiere o il benzinaio?

Nessuno di loro sembra avere avuto (o avere ora) più di tanto scelta... quindi mi attendo che sia solo questione di tempo che un "Ueshiba", di cognome, ma di animo differente dal nostro Aiki-nonnetto, si stanchi di questa assurda impossibilità di determinare il proprio destino, e faccia saltare il banco a tutta l'Aikikai.

In fondo, O' Sensei NON ha fatto il mestiere di suo padre, non ha fatto per tutta la vita ciò che gli ha insegnato il suo Maestro Sokaku Takeda... ma ha compiuto delle scelte, si è sottoposto alla disciplina che credeva utile per lui (non di più, non di meno) e si è assunto la completa responsabilità e merito di ciò che è accaduto in seguito a tutto ciò.

Credo che ciascuno di noi debba fare esattamente altrettanto: buttare nel cestino tutto ciò che ci frena, compresa le discipline ammaestranti... ed utilizzare gli strumenti che ci servono - per quanto acuminati, pericolosi e richiedenti - per giungere dove crediamo sia sano dirigerci.

Marco Rubatto