domenica 31 marzo 2013

Buona Pasqua ed una riflessione mirata sull'Aikido

Questo Blog, per chiarezza di mandato, ha scelto sin dai suoi esordi di non rappresentare alcun pensiero di tipo politico o religioso... potendo quindi spaziare a 360º nella ricerca di ciò che fosse interessante per l'Aikido (anche quando eventualmente si dovesse parlare di politica, religione o qualsiasi altra cosa!)

In questi giorni speciali per la comunità cristiana, tuttavia, parte della nostra Redazione ha desiderato esprimere una riflessione sulla propria esperienza di pratica, proprio alla luce della tradizione religiosa nella quale la maggioranza di noi è nata e cresciuta.

E' quindi con piacere che vi auguriamo buon Pasqua e vi invitiamo a leggere il pezzo seguente...

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"Qualche tempo fa raccontavo delle mie sensazioni di neofita che muoveva i primi passi nell’Aikido.

Le descrivevo come sensazioni di assoluta libertà, “la stessa libertà di fare una passeggiata per prati senza prefissarsi un traguardo che non sia il godimento della passeggiata stessa”.

Ad oggi, il mio Aikido penoso - sarebbe un onore definirlo “infantile”, ma purtroppo per essere tale, dovrei viverlo con la stessa fresca naturalezza dei bambini - anziché muovere i suoi primi passi, muove i suoi incerti “tai sabaki”, mi informa che il mio compagno che mi afferra il polso si chiama “uke” e che il mio ego di “tori” si consola quando dopo un centinaio di tai-no-henko...

... sente che uke si è spostato non per pietà o perché era distratto ma perché qualcosa dei principi pazientemente trasmessi, ha iniziato a funzionare…nonostante tutto!


Lentamente, con fatica e spesso inaspettatamente, si solleva il sipario e si inizia ad avere percezione e coscienza - che è altro dalla consapevolezza, che è il percorso di una vita - di quegli “oggetti misteriosi”, che si incontrano in questa passeggiata.

Tecniche e principi che sono un tesoro poliedrico e quindi soggetto a tante permutazioni di interpretazioni e di prospettive dal renderlo inesauribile.


Un lampo attraversa la tua mente quando hai la sensazione di essere riuscito per la prima volta a fare sintesi tra prospettiva, principio e tecnica ed ecco che le nebbie - appena diradate - tornano ad addensarsi, che l’ “oggetto misterioso” appena svelato, ne cela dietro a sé altri e altri ancora.

Mi chiedo: vale la pena affrontare un viaggio che si presenti secondo queste apparenze?

Senza una meta definita, a meno che si voglia considerare la pur giusta gradualità dettata dai giusti programmi di un’Arte e dei suoi esami come LA meta?

Senza altre bussole che non siano la crescente consapevolezza che… non esistono bussole?

Senza altra ragionevole conclusione che il miglior uke è quello che non finisce a terra perché… non attacca?

Mi sento di dire con maggiore forza di allora: SI, vale la pena.

E come allora questa sensazione è di assoluta libertà e più di allora vale il principio per il quale non si può vivere di sole “sensazioni” o, meglio, non si può lavorare talmente tanto di fantasia da rivestire di “sensazioni” una realtà oggettiva come un’Arte Marziale... che ha la sua storia, le sue regole, le sue tradizioni e anche inevitabilmente le zone grigie portate dalle contraddizioni di chi la pratica.

Come ogni realtà del nostro agire, un simile processo sarebbe  destinato presto o tardi a generare grosse delusioni.

Ma se…

Ma se uno dei veri punti di forza di un’Arte come l’Aikido fosse quello di riuscire a trovare un linguaggio capace di risvegliare qualcosa di più profondo in noi?

Insieme ed oltre la forma e la tecnica…

Anche se per la sua pratica non è fondamentale, certamente non si può inquadrare pienamente l’Aikido nella storia e nel suo divenire se non lo si colloca all’interno della cultura giapponese, della religiosità e della spiritualità delle sue figure più carismatiche o dallo Shintoismo di O’Sensei.

E sebbene - come detto in altre occasioni su queste pagine - all’interno stesso dell’Aikido delle origini la “via più sottile” è stata in modi e tempi alterni giudicata come elemento “essenziale” o “non essenziale” per il suo apprendimento, la domanda si pone comunque: e se l’Aikido fosse in definitiva un linguaggio capace di svegliarci nel profondo?

E a noi, che Shintoisti non siamo ma che siamo nati all’interno di un altro paradigma culturale, spirituale e religioso, su che strada può mettere l’Aikido, se gli si concede di percorrere con noi i sentieri sottili?

Su questi temi qualcuno si avventura, di tanto in tanto, con intenzioni, finalità e metodologie più o meno chiare, con conclusioni a volte “impositive”, spesso ingarbugliate, il più delle volte più simili ad un comodo frullato che accontenta un po’ tutte le sensibilità, senza curarsi di andare nel profondo o chiedersi se “calmare lo spirito e tornare alla sorgente” sia un modo di dire tra i tanti che "fa fine (su Facebook) e non impegna".

Il mondo interiore è qualcosa di talmente intimo che pare non giusto entrare “dentro” un’altra persona con la pretesa di dettare tempi e modi per un cammino che spetta a lei percorrere.

Un rispetto che però spesso si degenera in un’indifferenza (poco umana, oltreché poco…Aikidoistica) che non è lecita, se, con la pratica e le parole, diciamo di sposare un’Arte che pone la cura del prossimo come fine ultimo della pratica.

Credo però sia ragionevole e intellettualmente onesto che una persona, toccata dall’Aikido nel profondo, possa ricevere lo stimolo e gli strumenti per riconoscere di essersi “svegliato” in un determinato ambiente, in un dato periodo storico e - per noi Italiani, battezzati al 99% nella Chiesa cattolica, solitamente è così - inserito in una Fede che afferma di sé determinate cose.

Non credo sia azzardato dire che l’esplorazione della “stanza del nostro risveglio”, fatta con la stessa curiosità e sincerità usate nel capire i reconditi funzionamenti di una leva articolare, è un qualcosa di profondamente necessario, per capire meglio noi stessi e diventare sempre più in grado di poter offrire  un “io” in grado di contribuire ad una relazione - per strada, in casa, sul tatami.

E magari, per scoprire - come spesso accade - che quello che si cerca sta proprio lì, a due passi da te, senza dover andare a cercare risposte più immediate altrove… (magari anche il macellaio brandendo un salame può illuminarci sull’essenza dei buki waza, ma è altamente improbabile!)

Un “io” capace di Verità, cioè in grado di accoglierla e farla, con i propri mezzi, propria.

Aikido, per me cristiano cattolico, non è un orpello o una pratica pericolosa perché, per ragioni di inculturazione, si fanno proprie alcune abitudini del cerimoniale shintoista, ma, all’opposto, è proprio una delle tante vie in cui la libertà che mi viene donata mi dà possibilità di spaziare dall’infinitamente piccolo del mio gesto fisico all’infinitamente grande della relazione con le persone, l’ordine in cui ci muoviamo e Colui da cui quest’ordine trae origine.

Per me è un elemento aggiuntivo ed importante in quel cammino di incrementale e mai finita consapevolezza di essere, insieme a donne e uomini di ogni epoca, il destinatario di una Verità rivelata in un uomo che si afferma Dio, morto e risorto.


Mi piace concludere queste mie riflessioni riprendendo quanto ha detto recentemente il nuovo Papa, Francesco (che pur essendo vestito di bianco e con una cintura bianca, NON è un Aikidoka!), ricordandoci che il nostro mandato è “custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore”.

Buona Pasqua!"

[Sara & Andrea]

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